impulsi vitali, nascosti
come semi interrati, liberano urla
aprono ai sogni
Non si dimentica ciò che ha nutrito
impulsi vitali, nascosti
come semi interrati, liberano urla
aprono ai sogni
Non si dimentica ciò che ha nutrito
What have you done to me, my God?
Others have blossomed. I stay tight as a bud.
Che cosa mi avete fatto, Dio mio?
Altri sono sbocciati. Io sono rimasta bocciolo
Una donna non sposata, non scelta, nella società Pashtun è totalmente priva di valore,
come se non esistesse
You sold me to an old man, father.
May God destroy your home, I was your daughter.
Mi hai venduta ad un vecchio, padre.
Possa Dio distruggere la tua casa, ero tua figlia.
La donna non è vita a se stante … ma merce della famiglia.
Unlucky you who didn’t come last night,
I took the bed’s hard wood post for a man.
Sfortunato tu che non sei venuto ieri notte.
Ho preso un duro palo di legno del letto per un uomo.
All’ombra della grata del burka l’ironia fronteggia l’orgoglio violento maschile …
grazie a Marta ( http://tramedipensieri.wordpress.com/2013/07/02/landays-distici-delle-voci/ )
scopro la poesia Landay
donne afgane che raccontano,
in alcune voci, nonostante la violenza del burka,
persiste la dignità dell’ironia,
in altre assale alla gola il loro grido disperato.
Posso ascoltare e fare da cassa di risonanza
La poesia Landays è formata da due versi ( di 9 e 12 o 13 sillabe rispettivamente), molto in uso da sempre presso gli afgani, accessibile anche a persone analfabete, tramandata oralmente, era in passato memoria artistica della natura, del vissuto quotidiano, delle relazioni. Oggi le donne la usano come veicolo per testimoniare del loro status … e quando qualcuno riesce a raccoglierle ed a pubblicarle nella rete, un passo importante è fatto, ora sta a chi ascolta non dimenticare o lasciar che sia ancora così …
Tracce di noi
attraversano la vita
riflettendosi di gesto in gesto.
Più forti della genetica
le parole volano,
varcando generazioni
consolidano atteggiamenti,
pur nell’oblio dell’inutile nome.
EMILIO TI RICORDI
Emilio ti ricordi
quando ci siamo incontrati
la prima volta
in una casa svizzera linda e lustra
di cera e di tendine
e già la sera stavamo abbracciati
in un letto a una sola piazza
e poi tanti decenni di cose fatte insieme
e le assenze
i viaggi lunghi e brevi
tu partivi io partivo
ci mandavamo cartoline
fino all’incontro successivo
E a un certo punto sei partito
per un viaggio più lungo
un posto dove non ci sono uffici postali
per mandar cartoline
o negozi per comprare regali
ma i pensieri arrivano lo stesso
Che ne direbbe di questo? sarebbe contento?
Gli sembrerebbe fatto male?
Forse se usassi bene gli occhi
sotto le palpebre chiuse ti vedrei arrivare
da dietro gli archi e i sempreverdi
con un sorriso
affettuoso e divertito
per lo scherzo che hai fatto
di non mandare notizie
oppure prendo in mano un tuo libro
e lo do a un giovinetto
affinchè tu gli parli con le parole giuste
e attendo io la risposta
o anche ripeto qualche cosa che hai detto
prima di partire
e cade tanto a proposito
da sembrare inventata in quel momento stesso
Non c’è niente di buio e di definitivo
in questo tuo essere assente
e il mio non è un aspettare
ma nemmeno una perdita o una voragine
in cui non sei più
Perché sei
sei dentro tante cose
parole immagini idee sentimenti
aspirazioni stimoli movimenti
presenti.
Joyce Lussu
Lo spirito ha bisogno del finito
Lo spirito ha bisogno del finito
per incarnare slanci d’infinito.
Parlo con l’angelo, e le tue braccia d’uomo
soltanto lo traducono ai miei sensi.
Dove comincia l’ala? Dove nascono
musiche di tamburi di tempesta?
Amarti è sprofondare, è una foresta
sfumante in cieli altissimi
Maria Luisa Spaziani
In te, amore,
trovo il mio confine
appoggi di pace e tormento
insieme, amore,
spostiamo orizzonti
ignorando il futuro.
Performano
Invadendo la strada,
obbligano a passi inspirati
senza scampo.
Espiro
occupo
Corrodo le consuetudini
graffiando urlando
Avanzando così … come sono
fragile da un mito che non mi contempla
MADRE A DICEMBRE
Sei qui
e non ti avevo scelto e ti guardo
senza comprendere a chi somigli
non a mia madre capelli di lana sbiadita
non a mio padre carne di cuoio e di legno
non a me
che giocavo soltanto a sognarmi odalisca
inventandomi sposi
dalle mani più grandi del viso che ho.
Sei qui
figlio di una notte in cui sognai ali
e ordini di miele
ed ebbi freddo e paura di inganni
e mi sentii mortificata
d’essermi toccata la schiena
sperando di fuggire
con due enormi ali io.
Sei qui
e non ti conosco
ti nutro da madre prescelta
obbligata a cullarti la vita
sotto croci o sotto stelle comete
e ricevere ospiti in cenci stracciati
e i tre incoronati con cammelli e broccati
ma
dei giochi che avevo ne guardo gli avanzi
non trovo le mani che mi girino in danza
ma giro e rigiro nel mio cupo rimpianto
quel volo di ali che ormai è già racconto.
Savina Dolores Massa
Lasciando libero il flusso della coscienza scopriamo linguaggi interni non sempre consapevoli, ascoltarli può diventare conoscenza di qualcosa di nostro, di profondamente nostro
a volte aumentano i dubbi, ma questo è sempre un buon modo di “viversi” , anche con le titubanze e le fragilità che accompagnano sempre i dubbi e le rivisitazioni dei nostri punti di sicurezza
una immagine chiara emerge …
quanto connessa è la vita con gli eventi? quale è il confine tra autonomia, libero arbitrio, mediazione con le vite altrui? dove arriva la responsabilità delle scelte personali e dove si ferma quella dell’ambiente culturale?
Nella lingua sarda, la parola LIBBERU è usata con due accezioni: libro e libero.
Non pare curiosità linguistica, dato che il sapere incrementa la capacità di scelta.
Ma mi appare strano quanto poco di questa antica saggezza, tanto consueta da essere incisa nella lingua, sia poco trasfusa nell’investimento quotidiano della vita attuale.
Mi viene un senso di stordimento quanto leggo le classifiche di quanto poco consueta sia la lettura in Italia, di contro rimango stupefata quando una bimba mi dice che le piace Calvino … quasi fosse un’anomalia che la lettura sia praticata con gusto da piccolissimi tanto da chiedere “ancora …”
stai attraversando la stagione secca
sogno dopo sogno
la pelle si crepa non contiene più
il tuo corpo
non più riceve latte, latte, linfa
muta
in frutta
tutto è portato con sé è portato dentro
ora che non hai casa,
ora che non hai casa hai foglie,
inutilmente
– tutto disfa l’argento che credi acqua –
ed è mercurio mobile
è legno lasciato dal mare
Laura Pugno
BIPEDE
Ora che mi hai colpito
devo ritoccarmi la bocca
e sorridere tranquilla
oppure non sorridere affatto,
ma in qualche modo mostrare
che sono nobile, non vile.
E il cane, dentro,
che guaisce
così pietosamente,
e che vorrebbe leccarti le mani
(si sente così caduto in disgrazia)
quel cane dev’essere zittito
prima che il suo ululato
tradisca sventura.
Ma sono io quel cane.
Sono stata io a urlare,
Io che sono stata ferita.
Che ho sentito il dolore.
E sono io
Che ho disprezzato me stessa.
Suniti Namjoshi